L’art. 216, comma 1, n. 2), l.f. prevede che debba essere punito penalmente l’imprenditore, dichiarato fallito, che “ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari”. La Suprema Corte ha recentemente affrontato la questione relativa al rapporto fra le diverse ipotesi di condotta materiale indicate nella fattispecie di reato e ha confermato che non possono essere “alternativamente contestate la mancata consegna e la sottrazione delle scritture contabili ovvero la tenuta delle medesime in guisa tale da non consentire la ricostruzione del volume d’affari e del patrimonio della fallita”, infatti l’autonomia delle diverse ipotesi di condotta “deve essere intesa come vera e propria alternatività, nel senso che, qualora venga contestata la fisica sottrazione delle scritture contabili alla disponibilità degli organi fallimentari (anche eventualmente nella forma della loro omessa tenuta), non può essere addebitata all’agente anche la fraudolenta tenuta delle medesime, ipotesi che […] presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli stessi organi fallimentari”.