L’art. 51, par. 1, della Direttiva 2013/36/UE sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento (Capital Requirements Directive IV o CRD IV), prevede che “gli Stati Membri impongono a tutte le persone che esercitano o hanno esercitato un’attività per conto delle autorità competenti, nonché ai revisori o esperti incaricati dalle autorità competenti, l’obbligo di rispettare il segreto professionale”. A questo proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha recentemente avuto modo di affrontare la questione del bilanciamento fra tale norma (mirata a tutelare il “segreto professionale”, fra l’altro, delle autorità di vigilanza) e il diritto dei soggetti potenzialmente danneggiati da una condotta di detta autorità o di un soggetto da essa vigilato a ottenere informazioni utili per valutare l’opportunità di proporre un’azione giudiziale avverso tali soggetti. In particolare, la Corte di Giustizia ha concluso – applicando un’interpretazione restrittiva dell’obbligo di mantenere il segreto professionale – che il citato art. 53, par. 1, CRD IV “dev’essere interpretato nel senso che esso non osta a che le autorità competenti degli Stati Membri divulghino informazioni riservate a una persona che ne faccia richiesta per poter avviare un procedimento civile o commerciale volto alla tutela di interessi patrimoniali”. Inoltre, il Giudice europeo ha limitato tale principio, precisando che “la domanda di divulgazione deve riguardare informazioni in merito alle quali il richiedente fornisca indizi precisi e concordanti che lascino plausibilmente supporre che esse risultino pertinenti ai fini di un procedimento civile o commerciale, il cui oggetto dev’essere concretamente individuato dal richiedente e al di fuori del quale le informazioni di cui trattasi non possono essere utilizzate”, così da impedire la possibile divulgazione di informazioni irrilevanti o non pertinenti.