Come noto, la disposizione di cui all’art. 2636 c.c. punisce penalmente “Chiunque, con atti simulati o fraudolenti, determina la maggioranza in assemblea, allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto”. In merito alla portata applicativa di questa norma, la Corte di Cassazione ha precisato che “l’illecita condotta simulatoria o fraudolenta deve avere provocato il raggiungimento del quorum, necessario per la valida adozione di una determinata delibera, che, in assenza della stessa condotta illecita, non sarebbe stato raggiunto […] o, comunque, l’adozione di una delibera che, in assenza della condotta illecita, non avrebbe potuto essere validamente adottata. Il relativo accertamento implica, quindi, il ricorso alla cosiddetta prova di resistenza, al fine di verificare se, sottraendo o aggiungendo, a seconda dei casi, i voti illecitamente influenzati, permanga o no il quorum necessario o, comunque, le condizioni per la valida adozione della delibera e, quindi, se detti voti siano stati o no determinanti per tale adozione”. In assenza di tale condizione non può ritenersi integrata la condotta illecita individuata dalla disposizione di legge sopra richiamata.